I ricordi di Teresita Pelliccioni, oltre a ricostruire l’atmosfera delle fiere degli anni trenta- quaranta, ci fanno rivivere il clima di quel periodo:

" Rievochiamo, ora ,brevemente queste memorabili giornate , sempre contraddistinte da un tempo splendido, specialmente a maggio, salvo qualche acquazzone in settembre ,foriero dell’incipiente autunno.

Arrivavano alla Quercia, da tutte le parti dell'Italia Centrale ed altre, proprietari, commercianti e contadini, vestiti nella più svariate fogge dei costumi dei paesi di provenienza. Arrivavano con tutti i mezzi di trasporto allora a disposizione quali: bighe, cavalli, carri trainati da buoi, asini e in tempi più moderni col trenino della Roma Nord.

Il campo veniva aperto al mezzogiorno del sabato per l'affluenza del bestiame nell'area ad esso destinata, ripartita in tanti spazi chiamati "chiusini"; ma la giornata vera e propria della fiera era la domenica.

Il bestiame arrivava, logicamente, a piedi non come oggi che viaggia con tutta comodità su appositi autocarri. Esso era riunito in grandi mandrie che già da alcuni giorni precedenti transitavano per le varie strade che circondano la città di Viterbo. Nelle ultime ore antecedenti all'inizio della fiera questo bestiame si accalcava nel Viale Trieste dando luogo ad uno spettacolo da Far West. Qui infatti si mescolavano, pecore, buoi, maiali, cavalli e asini, bestie che in mezzo a tale confusione si mantenevano più o meno tranquille.

Non era raro il caso che qualche torello, insofferente dl questa confusione, uscisse dai ranghi e prendesse la corsa attraverso i campi o, peggio, in direzione della città.

A proposito, ho un ricordo personale che vi voglio descrivere. Una volta uno di questi torelli, imbizzarrito, fuggì alla cavezza e di corsa prese la direzione di Viterbo, imboccò il corso affollato di gente, con il parapiglia che ciascuno può immaginare, e si fermò in Piazza del Comune, sbattendo con le corna sulla porta dell'Ufficio postale che, a quei tempi, si trovava sull'omonima piazza al pianterreno della prefettura.

Per fortuna dall'altra parte della stessa piazza vi era il comando dei Vigili del Fuoco, alcuni dei quali si precipitarono a bloccare l'incauto animale.

Passata la paura, ricordo che poi a Viterbo vi fu, per alcuni giorni un gran ridere, per il torello che si era recato alla posta per spedire........ una lettera alla sua bella.!!

Ritornando alla nostra fiera, ricordiamo la fase più importante della manifestazione: cioè quella della compra-vendita, che iniziata sempre con lo intervento di un sensale, si concludeva con una stretta di mano impegnativa per ambo i contraenti.

Intanto vediamo che cosa avveniva in paese. Sulla piazza del Santuario e vie adiacenti erano installate molte bancarelle con ogni sorta di cibarie tra cui primeggiavano, a delizia di noi ragazzini, castagne secche, fichi secchi, prugne, visciole, nocciole e noccioline americane.

Per delizia degli adulti, filetti di baccalà, mortadella, frittura di pesce e l'immancabile immortale porchetta.

Erano anche esposte mercanzie, scarpe, attrezzi di ogni genere.

Prima del desinare, chi poteva, e non erano pochi, andava alla messa di mezzo giorno, rito per questa volta rumoroso e distratto in quanto i partecipanti (o fieraroli) non riuscivano certo a raccogliersi nella preghiera, con quella mente tanto presa dagli affari, dal denaro, insomma dai propri impellenti interessi del momento.

Venuta l'ora del desinare, eccetto i ricchi che potevano recarsi in trattoria, ciascuno tirava fuori dal proprio "canestro" le cibarie portate da casa, le disponeva in una nitida salvietta che metteva sulle proprie ginocchia e li mangiava con tanto gusto, non dimenticando di dare una occhiata al bestiame od alla bancarella.

Le bettole erano affollatissime ed il biondo vino brillava nei "quartaroni" i quali si riempivano e si svuotavano con incredibile rapidità.

A metà pomeriggio incominciava lo sfollo dei mercanti ed a sera quello del bestiame e delle bancarelle. Rimaneva qualche ritardatario, ma a notte tutto era finito. Restavano gli zingari che, immancabili, avevano per tutta la giornata tormentato la gente con i loro giochi, con l'insistenza a voler leggere la mano a ragazze e giovani donne ed infine con l'esercizio precipuo del loro mestiere che era quello di sfilare il portafoglio a qualche ingenuo contadino. Comunque anche gli zingari concorrevano a dare una nota di indimenticabile folclore alla fiera della Quercia.

Dopo la II guerra mondiale le fiere andarono a diminuire di tono e di importanza…"

In Campo Graziano era stata creata una pista che veniva utilizzata per le corse di cavallo; in particolare venivano organizate durante le feste di S. Rosa e della Madonna della Quercia, anche se durante questi ultimi festeggiamaenti, nei secoli XVI-XIX si era soliti organizzare le corse di cavallo senza fantino lungo lo stradone che da Viterbo porta alla Quercia.

 

 

P.S. Alcune di queste immagini sono tratte dall'Archivio di Mauro Galeotti

 

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